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dottore Van Baerle fosse un di lui inviato sulla Terra.

Ne resultò che una bella mattina, era il terzo giorno della sparizione di Rosa e di Giacobbe, — ne resultò che una bella mattina che salì nella stanza di Cornelio era anche più furioso del solito.

Costui con i gomiti appoggiati alla finestra e la testa dentro alle mani, gli sguardi perduti nell’orizzonte nebbioso, che i molini di Dordrecht rompevano con le loro ali, spirava l’aria per respingere le sue lacrime e per impedire alla sua filosofia che si evaporasse.

Eranvi sempre i piccioni ma non v’era più la speranza, ma l’avvenire mancava.

Ahimè! Rosa sorvegliata non più sarebbe potuta venire; potrebbe scrivere forse? ma scrivendo potrebbe fargli pervenire le sue lettere?

No! Aveva scorto la sera, e la sera innanzi troppo furore e malignità negli occhi del vecchio Grifo, perchè la di lui vigilanza si rallentasse un istante; e poi oltre la reclusione, oltre l’allontanamento, chi sa che non soffrisse tormenti ancora peggiori. Quel bestiale, quel sacripante, quell’ubriacone non vendicherebbesi alla maniera dei padri del teatro greco? Quando il ginepro montavagli al cervello non dava al suo braccio troppo bene rimesso da Cornelio, la vigoria di due braccia e di un bastone?

L’idea che Rosa forse fosse maltrattata, esasperava Cornelio. Sentiva allora la sua inutilità, la sua impotenza, il suo niente. Dimandava a sè stesso se fosse giusto che due creature innocenti soffrissero tanto; e certamente in quel momento la sua fede vacillava. La disgrazia non rende credenti.