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che mi giova credere che il male venga da lui e non da voi.

— Mio Signore, mio Signore! esclamò Rosa, Cornelio non è colpevole.

Guglielmo fece un movimento.

— Non colpevole di avervi consigliata. Volete dir questo, non è vero?

— Io voglio dire, mio Signore, che Cornelio non è colpevole tanto del primo che del secondo delitto, che gli si vuole imputare.

— Del primo? E sapete voi qual sia il suo primo delitto? Sapete voi di che sia stato accusato e convinto? D’avere, come complice di Cornelio de Witt, conservata la corrispondenza del gran pensionario e del marchese di Louvois.

— Ebbene, mio Signore, egli ignorava di essere detentore di tale corrispondenza; la ignorava completamente. Eh! mio Dio! me l’ha detto lui. Quel cuore per adamantino che fosse, qual segreto mai avrebbe avuto per me? No, no, mio Signore, lo ripeto, dovessi io incontrare anco la vostra collera, Cornelio non è colpevole tanto del primo che del secondo delitto. Oh! se voi, mio Signore, conosceste il mio Cornelio!

— Un de Vitt! esclamò Boxtel. Oh! mio Signore, lo conoscete pur troppo, dacchè gli faceste grazia della vita.

— Silenzio, disse il principe. Tutte queste cose di Stato, l’ho già detto, non interessano punto la società orticola di Harlem.

Poi aggrottando il sopracciglio:

— Quanto al tulipano, siate tranquillo, signor Boxtel; sarà fatta giustizia.