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Boxtel esitò; l’occhio fisso e imperiosamente scrutatore del principe impedivagli di mentire.

— Non posso negare di essere stato a Loevenstein, mio Signore, ma niego di avere rubato il tulipano.

— Me l’avete rubato e di camera mia! esclamò Rosa indignata.

— Lo niego.

— Ascoltate; niegate voi d’avermi seguito nel giardino il giorno, in cui io preparava la casella, dove io doveva sotterrarlo? Niegate voi d’avermi seguito nel giardino il giorno, in cui io finsi di piantarlo? Niegate voi quella sera stessa d’esservi gettato, dopo la mia partenza, sul luogo dove voi speravi di trovare il tallo? Niegate voi di aver frugato la terra con le vostre mani, ma inutilmente per grazia di Dio, perchè non era che una furberia per conoscere le vostre intenzioni? Dite, mi negherete tutto questo?

Boxtel non giudicò punto a proposito di rispondere a queste diverse interrogazioni; ma lasciando la polemica suscitata da Rosa e volgendosi al principe, disse:

— Sono venti anni, mio Signore, che coltivo tulipani a Dordrecht; ho parimente acquistato in quest’arte una certa reputazione: uno dei miei ibridi portò in Catalogna un nome illustre. L’ho dedicato al re di Portogallo. Ora ecco la verità. Questa ragazza sapeva che io aveva trovato il tulipano nero e di concerto con un suo amante, che ha nella fortezza di Loevestein, si è formata il progetto di rovinarmi coll’appropriarsi il premio de’ cento mila fiorini, che otterrò, spero, in grazia della vostra giustizia.

— Oh! esclamò Rosa soffogata dalla collera.