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— Qui! Che ne pensate voi, signor Van Herysen?
— Penso, l’appetito dei cento mila fiorini l’abbiano tentata.
— E lei reclama il tulipano?
— Sì, mio Signore.
— E che dice ella dal canto suo, come lo prova?
— Cominciavo a interrogarla, quando è entrata l’Altezza Vostra.
— Sentiamola, signor Van Herysen, sentiamola; io sono il primo magistrato del paese, sentirò l’interrogatorio e renderò giustizia.
— Ecco trovato il mio re Salomone, disse Van Herysen facendo reverenza e accennando il cammino al principe, che precedeva il suo introduttore; quando arrestossi ad un tratto, disse:
— Andate innanzi, e chiamatemi Signore.
Entrarono nello scrittoio. Rosa era sempre allo stesso posto, appoggiata alla finestra e guardante dai vetri nel giardino.
— Ah! ah! una Frisona, disse il principe scorgendo la cuffietta d’oro e le ciocche rosse di Rosa.
Costei si volse allo strepito, ma vide solo balenare il principe, che assidevasi nell’angolo più oscuro dell’appartamento.
Tutta la sua attenzione, ci s’intende, era volta all’importante personaggio che chiamavasi Van Herysen, e non per quell’umile straniero, che seguiva il padrone di casa e che probabilmente non farebbesi conoscere.
L’umile straniero prese un libro dello scaffale, e fece segno a Van Herysen di cominciare l’interrogatorio.