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Van Herysen appena giunto nell’altra stanza cacciò un gran grido, scorgendo lo spettacolo della sua scala invasa fino al vestibolo.

Accompagnato, o piuttosto seguito dalla moltitudine, un giovine vestito semplicemente di vellutello violetto ricamato in argento saliva con nobile lentezza li scalini di pietra, lucenti di bianchezza e di nettezza.

Dietro a lui venivano due officiali, uno di marina e l’altro di cavalleria.

Van Herysen facendosi largo tra i domestici spaventati, venne a inchinarsi, a prosternarsi quasi davanti il nuovo arrivato, che cagionava tutto questo rumore.

— Mio Signore, esclamò, mio Signore! Come? l’Altezza Vostra da me! Onore impareggiabile sempre per la mia umile abitazione!

— Caro Van Herysen, disse Guglielmo d’Orange con una serenità che in lui teneva luogo di sorriso, io sono un vero olandese, vedete; amo l’acqua, la birra e i fiori, e qualche volta pure il formaggio, di cui fanno tanto conto i Francesi; tra fiori quelli che io preferisco, sono naturalmente i tulipani. Ho udito dire a Leida che la città di Harlem possedeva finalmente il tulipano nero, e dopo essermi assicurato la cosa esser vera, quantunque incredibile, vengo a chiederne novella al presidente della società di orticoltura.

— Oh! mio Signore, disse Van Herysen in estasi, qual gloria per la società, se i di lei lavori possono aggradire all’Altezza Vostra!

— L’avete qui il fiore? disse il principe che già senza dubbio pentivasi d’aver troppo parlato.