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— Bisogna, mormorò, ch’io ritorni dal presidente.

— Ritorniamo, disse il navicellaio.

Presero il vicolo della Paglia che li menò diritti alla residenza del signor Van Herysen, il quale col suo più bel carattere e con la migliore sua penna continuava a lavorare al suo rapporto.

Dappertutto passando Rosa non sentiva che parlare del tulipano nero e del premio di cento mila fiorini: n’era già piena la città.

Rosa non incontrò ostacolo nessuno per ripenetrare presso Van Herysen, che puranco sentissi commosso, come la prima volta, alla parola magica di tulipano nero.

Ma quando riconobbe Rosa, la quale dentro di se aveva egli battezzato per pazza e forse peggio, montò in collera e voleva scacciarla.

Ma Rosa giunse le sue mani, e con un accento di verità, che penetra i cuori, disse:

— Signore, a nome del cielo! non mi cacciate: ascoltate al contrario ciò che io vengo a dirvi, e se non potrete farmi rendere giustizia, almeno non avrete a rimproverarvi un giorno in faccia a Dio di essere stato complice di una cattiva azione.

Van Herysen trepidava d’impazienza; l’era la seconda volta che Rosa disorientavalo da una redazione, alla quale ei metteva il suo doppio amor proprio di sindaco e di presidente della società orticola.

— Ma il mio rapporto! esclamò egli, il mio rapporto sul tulipano nero!

— Signore, continuò Rosa con la fermezza della innocenza e della verità, signore, se non mi ascoltate, il vostro rapporto sul tulipano nero poserà sopra fatti