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— Ci è stato preso, ci è stato rubato! esclamò Cornelio.
— Sì, disse Rosa appoggiandosi contro la porta per non cadere. Sì, preso, rubato!
E suo malgrado ripiegandosele le ginocchia, scivolò e cadde ginocchioni.
— Ma come mai? dimandò Cornelio. Ditemi... spiegatemi...
— Oh! non ci ho colpa, amico mio.
Povera Rosa! non osava più dire mio diletto.
— L’avete lasciato solo! disse Cornelio con un accento doloroso.
— Per un momento, tanto per andare a cercare il nostro espresso, che abita a cinquanta passi appena sulla riva del Wahal.
— E intanto a malgrado le mie raccomandazioni, avete lasciato la chiave nell’uscio, sciagurata ragazza!
— No, no, no; eccola ancora qui, senz’averla punto lasciata; anzi l’ho costantemente tenuta in mano, come se avessi avuto paura che mi scappasse.
— Ma allora come l’è andata?
— E che lo so io? Consegnai al mio espresso la lettera, che partì me presente; tornai, la porta era chiusa; tutto era al suo posto in camera mia fuorchè il tulipano che era sparito. Si vede che qualcuno si è procurata un’altra chiave della mia camera, o ne ha fatta fare una falsa.
Restò soffocata, le lacrime troncandole a mezzo la parola.
Cornelio immobile, col viso stravolto, ascoltava quasi senza comprendere, mormorando soltanto: