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La canaglia malediva i giudici iniqui, il cui decreto lasciava fuggire sano e salvo un sì abominevole delinquente, qual’era lo scellerato Cornelio.
E qualche istigatore ripeteva a voce bassa:
— Parte! ci scappa!
Cui altri rispondevano:
— Un vascello, e un vascello francese, l’attende a Scheveningen; Tyckelaer lo ha visto.
— Bravo Tyckelaer! pernio dei galantuomi! gridava la folla in coro.
— Senza badare, diceva una voce, che nel tempo di questa fuga di Cornelio, l’altro traditore da tre cotte, il suo fratello Giovanni si salverà del paro.
— E i due bricconi vanno a mangiare in Francia il nostro denaro, denaro dei nostri vascelli, dei nostri arsenali, dei nostri cantieri venduti a Luigi XIV.
— Impediamoli la partenza! gridava un patriotto più spinto degli altri.
— Alla prigione! alla prigione! ripetevano tutti.
E a queste grida i paesani correvano più forte; montavansi li schioppi, luccicavano le scuri, foscheggiavano li sguardi.
Niuna violenza però non erasi ancora commessa, e la linea di cavalleria, che guardava l’entrata del Buitenhof stava impassibile, fredda, silenziosa, più minacciante con la sua calma di tutta quella ciurmaglia borghese con le sue grida, con la sua agitazione, con le sue minacce, immobile sotto gli occhi del conte di Tilly capitano della cavalleria dell’Aya, il quale teneva la spada sfoderata, ma con la punta volta all’angolo della sua staffa.
Questo squadrone solo riparo che difendesse la