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Cornelio non fece che un salto dalla finestra alla graticola. Questa volta ancora incontraronsi le sue labbra con quelle mormoranti di Rosa che gli disse con un bacio:

— È sbocciato; è nero, eccolo!

— Come eccolo! esclamò Cornelio staccando le sue labbra da quelle della giovinetta.

— Sì, sì; merita bene correre un piccolo rischio per dare una gioia: eccolo, guardate!

E con una mano alzò all’altezza della graticola una laternina sorda, da lei allora aperta, mentre alla medesima altezza mostrava con l’altra il miracoloso tulipano.

Cornelio gettò un grido e credette svenire.

— Oh! mormorò, Dio mio! Dio mio! mi ricompensate della mia innocenza e della mia prigionia, dappoichè avete fatto che si accosti questo dolce fiore alla graticola della mia prigione.

— Abbracciatelo, disse Rosa, come io l’ho abbracciato or ora.

Cornelio ritenendo il suo alito toccò a fior di labbra la punta del fiore, e mai altro bacio impresso sulle labbra di una donna, di quelle puranco di Rosa, non così profondamente mai gli scesero sul cuore.

Il tulipano era bello, splendido, magnifico; il suo gambo aveva più di dieci pollici di altezza; slanciavasi dal seno di quattro verdi foglie, liscie, diritte, come quattro ferri di lancia; e il suo fiore era nero, brillante come polverino.

— Rosa, disse Cornelio tutto anelante, Rosa, non c’è un istante a perdere, bisogna scrivere la lettera!

— L’è scritta, mio diletto Cornelio, disse Rosa.