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di ben maneggiare come strumento tagliente e contundente ad un tempo; non troverassi dal Buitenhof alla porta della città una benchè piccola occasione per gettare un po’ di fango, anche qualche pietra a quel ruward di Pulten che ha solamente accordato lo Statolderato al Principe d’Orange vi coactus, ma che ha voluto eziandio farlo assassinare?

Senza contare, aggiungevano i feroci nemici della Francia, che diportandosi bene e bravamente all’Aya, non lascerebbesi partire per l’esilio Cornelio de Witt, il quale una volta all’estero rannoderebbe tutti i suoi intrighi con la Francia e vivrebbe con quel grande scellerato di Giovanni suo fratello con l’oro del marchese di Louvois.

Si vede bene che in simili disposizioni li spettatori corrono e non camminano; ed ecco perchè gli abitanti dell’Aya precipitavansi verso il Buitenhof.

Tra quelli, che più correvano con la rabbia in cuore e senza progetto nell’animo era l’onesto Tyckelaer, corteggiato dagli orangisti come un eroe di probità, d’onore nazionale e di carità cristiana.

Quel bravo scellerato raccontava, abbellendoli di tutti i fiori del suo spirito e di tutte le risorse della sua imaginazione, i tentativi messi in opra da Cornelio de Witt contro la sua virtù, le somme che aveagli promesse e l’infernale macchinazione prima preparata per appianare a lui Tyckelaer tutte le difficoltà dell’assassinio.

E ogni frase del suo discorso avidamente raccolta dal popolaccio sollevava grida d’amore entusiasta pel principe Guglielmo, e urli di cieca rabbia contro i fratelli de Witt.