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— Eh! sì, disse Rosa di un tuono di tenera madre che permetta a suo figlio una contentezza.
— Ah! Rosa! esclamò Cornelio, sporgendo le sue labbra, attraverso le sbarrette di ferro, nella speranza di toccare; una guancia, una mano, la fronte, qualche cosa insomma; ma meglio di queste, toccò due labbra semiaperte.
Rosa gettò un piccolo strillo. Cornelio si accorse che bisognava affrettarsi a proseguire la conversazione, perchè il suo inatteso contatto aveva spaventato fortemente Rosa.
— Buttato ben diritto? egli dimandò.
— Diritto come un fuso di Frigia, disse Rosa.
— È ben’alto?
— Due pollici almeno.
— Oh! Rosa, abbiatene ben cura, e vedrete come crescerà presto.
— Posso averne più cura? disse Rosa. Non penso che a lui.
— Che a lui, o Rosa? Guardate che ora sono geloso io.
— Eh! voi sapete bene che pensando a lui è lo stesso che pensare a voi. Non lo perdo mai di vista; lo vedo da letto; mi sveglio, ed è il primo oggetto che miro; mi addormento, è l’ultimo oggetto che perdo di vista. Il giorno seggo e lavoro vicino a lui; che dal momento che è in camera mia, non lascio più la mia stanza.
— Avete ragiona, o Rosa: è la vostra dote, lo sapete.
— Sì, e mercè sua potrò sposare un giovine di ventisette o ventotto anni, che io amerò.