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giardino, e che io aveva riconosciuto per Giacobbe, v’inquietava, e inquetava me più ancora, fissai dunque far ciò che mi diceste, il giorno appresso in cui vi vidi per l’ultima volta, e in cui mi diceste.....

Cornelio la inerruppe:

— Perdono, ancora una volta, o Rosa! esclamò. Ciò che vi dissi ebbi torto a dirvelo; vi ho chiesto già perdono di quella parola fatale, e ve lo ridomando ancora. Non mi esaudirete mai?

— Il giorno appresso, riprese Rosa, richiamandomi alla mente tutto quello che mi avevate detto.... dell’astuzia da mettersi in opera per assicurarmi, se me o il tulipano seguisse quell’odiosa creatura....

— Sì, odiosa... Mi pare, soggiunse, che l’odiate a dovere?

— Sì, l’odio, rispose Rosa, perchè gli è cagione di quanto ho sofferto in questi otto giorni!

— Ah! voi pure avete sofferto? Grazie, o Rosa, di questa buona parola.

— Il giorno appresso di quel giorno sfortunato, continuò Rosa, scesi dunque in giardino, e mi avanzai verso la casella, dove io dovea piantare il tulipano, guardandomi dietro con la coda dell’occhio, se questa come l’altra volta egli mi seguisse.

— Ebbene? domandò Cornelio.

— Ebbene! la medesima ombra strisciossi tra la porta e il muro, e disparve ancora dietro i sambuchi.

— Figuraste di non vederlo, ci s’intende? dimandò Cornelio, rammentandosi in tutti i suoi dettagli il consiglio che avea dato a Rosa.

— Già, e mi piegai sulla casella, che bucai con un cavicchio, come se io vi piantassi il tallo.