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condurre la dolce visione che rischiarava a traverso della graticola la segrete del povero Cornelio e che, allontanandosene, vi lasciava la luce per tutto il tempo della sua assenza.

Van Baerle passò la notte in una vera disperazione.

La dimane, Grifo gli parve più rotto, più brutale, più sgraziato del solito: eragli passato per la mente, o piuttosto pel cuore la lusinga che egli impedisse Rosa di venirci.

Si sentì preso da un’ira feroce di strangolare Grifo; ma strangolato che l’avesse, tutte le leggi divine e umane proibivano a Rosa di mai più rivedere Cornelio.

Il carceriere scampò dunque senza saperlo a una delle più grandi sciagure che egli avesse mai corso in sua vita.

Venne la sera, e la disperazione cangiossi in melanconia, che l’era tanto più tetra; quanto a suo malgrado le rimembranze dei suo povero tulipano mescolavansi al cordoglio che egli provava. S’era giusto all’epoca che i giardinieri i più esperti nel mese di aprile indicano come il punto preciso per la piantagione dei tulipani. Egli aveva detto a Rosa:

— V’indicherò il giorno che dovrete porre in terra il tallo.

Doveva fissare quel giorno, il domani, nella sera seguente. Il tempo era bello, l’atmosfera quantunque peranco un po’ umida cominciava ad essere temperata pe’ pallidi raggi del sole di aprile, che per essere i primi parevano così dolci ad onta del loro pallore. Se Rosa lasciasse passare il tempo della piantagione!