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d’Orange, soprannominato da’ suoi contemporanei e passato alla posterità col nome di Taciturno.
I due de Witt maneggiavansi con Luigi XIV, di cui vedevano ingigantire l’ascendente morale su tutta Europa, e ne sentivano l’ascendente materiale sull’Olanda a cagione dei successi della meravigliosa campagna del Reno, illustrata da quell’eroe da romanzo, che chiamavasi conte di Guisa, e cantata da Boileau, campagna che in tre mesi avea abbattuto la potenza delle Province unite.
Luigi XIV era da lunga pezza nemico degli Olandesi, che insultavanlo o motteggiavanlo a tutta possa e quasi continuamente, è vero, per bocca dei francesi rifugiati in Olanda. L’orgoglio nazionale faceane il Mitridate della repubblica. Stava dunque contro ai de Witt l’animavversione, che resulta da una vigorosa resistenza susseguita da un potere reluttante al gusto della nazione e della stanchezza naturale a tutti i popoli vinti, quando sperino che un altro capo possa salvarli dalla rovina e dalla vergogna.
Quest’altro capo, pronto a mostrarsi e prontissimo a misurarsi contro Luigi XIV, che apparve talmente gigante da preludiarne la sua fortuna, gli era Guglielmo principe d’Orange, figlio di Guglielmo II e nipote per mezzo di Enrichetta Stuart di Carlo I re d’Inghilterra, giovine taciturno, la cui ombra abbiamo noi detto apparir già dietro lo Statolderato.
Questo giovine nel 1672 avea ventidue anni. Giovanni de Witt era stato suo precettore, ed avealo allevato col fine di fare di questo antico principe un buon cittadino. Aveagli, amando più la patria che il suo allievo, troncato col perpetuo editto la speranza