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tutto ciò che aveano a dirsi, potessero comodamente leggere sul libro che Rosa aveva portato.

In conseguenza la giovinetta dovè appoggiarsi alla graticola, con la testa piegata, col libro all’altezza del lume, che ella teneva con la diritta, e che per riposarla un poco Cornelio immaginò di fissare con un fazzoletto a una traversa di ferro. D’allora Rosa potè seguire con un dito sul libro le lettere e le sillabe che facevale rilevare Cornelio, il quale provvisto di un filo di paglia a guisa d’indicatore designava le lettere da un buco della graticola alla sua attenta scolara.

Il chiarore del lume rischiarava i ricchi colori di Rosa, il suo occhio turchino e profondo, le sue bionde trecce sotto la cuffietta d’oro brunito, che, come abbiamo detto, serve di acconciatura alle Frisone; le sue dita tese da cui il sangue scendeva, prendevano un tuono pallido rosa risplendente dicontro al lume e indicante la vita misteriosa, che vedesi circolare sotto le carni.

L’intelligenza di Rosa sviluppavasi rapidamente sotto il contatto vificatore dello spirito di Cornelio; e quando la difficoltà compariva troppo ardua, gli occhi spinti negli occhi, le ciglia a contatto delle ciglia, i capelli congiunti ai capelli, tramandavano tali elettriche scintille capaci di rischiarare le tenebre stesse dell’idiotismo.

E Rosa, scesa nella sua stanza, ripassava sola nella mente sua le lezioni di lettura, e nella sua anima contemporaneamente le non confesse lezioni di amore.

Una sera venne più tardi del solito una mezzora. Gli era un caso troppo grave perchè Cornelio non s’informasse prima di tutto della causa del ritardo.