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— Come va il vostro tulipano?
Parlare a Cornelio del suo tulipano era il vero mezzo per Rosa di fargli dimenticare anche lei.
— Ma bene assai, diss’egli; la pellicola annerì, la fermentazione è cominciata, le vene del tallo riscaldansi e ingrossansi; da qui a otto giorni, e forse innanzi, si potranno distinguere le prime pretuberanze della germinazione.... E il vostro Rosa?
— Oh! io ho fatto le cose in grande e secondo le vostre indicazioni.
— Vediamo, Rosa, che cosa avete fatto? disse Cornelio col guardo ardente, l’alito quasi anelante come nella sera, che i suoi occhi avevano arso il viso e il suo alito il cuore di Rosa.
— Io ho, disse la giovinetta (perchè in fondo del cuore non aveva potuto vedere e studiare il doppio amore del prigioniero, per lei e pel tulipano nero), ho fatto le cose in grande; mi sono preparata un’aiola spolta, lungi dagli alberi e dai muri, in una terra leggermente sabbiosa, piuttosto umida che arida, senza un grano di ghiaia, senza un sassolino, e mi sono composta una casella, come me l’avete descritta.
— Bene, bene, o Rosa.
— Il terreno in tal guisa preparato aspetta le vostre prescrizioni. Alla prima buona giornata mi direte di piantare il mio tallo, e io lo pianterò; sapete che io debbo fare la mia piantagione dopo di voi, perchè ho tutto più favorevole, aria buona, sole, e abbondanza di succhi terrestri.
— È vero, è vero! esclamò Cornelio, stropicciandosi tutt’allegro le mani; e voi siete una buona scolara, o Rosa, e guadagnerete certamente i vostri cento mila fiorini.