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vite di ginepro non perfetta, e lasciare la fortezza e condur seco sua figlia; e così Rosa e Cornelio essere separati un’altra volta. Dio, se lasciasse troppo fare alle sue creature, forse allora finirebbe col non più riunirle.
— E allora a che prò i piccioni viaggiatori, diceva Cornelio alla giovinetta, perocchè, mia cara Rosa non sapete leggere ciò che io vi scrivessi, nè scrivermi ciò che avreste pensato?
— Ebbene, rispose Rosa, che in fondo del suo cuore temeva, quanto Cornelio la separazione, abbiamo un’ora tutte le sere, impieghiamola bene.
— Ma mi pare, rispose Cornelio, che non s’impieghi po’ poi tanto male.
Impieghiamola anche meglio, disse Rosa, sorridendo. Insegnatemi a leggere e a scrivere; profitterò delle vostre lezioni, credetemelo, e così non saremo noi più mai separati che per nostra mera volontà.
— Oh! allora, esclamò Cornelio, abbiamo l’eternità dinanzi a noi.
Rosa sorrise e alzò dolcemente le spalle.
— Che volete restare per sempre in prigione? E dopo avervi donato la vita, non potrebbe sua Altezza ridarvi la libertà? Allora torneresti in possesso dei vostri beni? E come sarete ricco? E una volta libero e ricco, sdegnerete abbassare lo sguardo, quando passerete a cavallo o in carrozza, sulla infima Rosa, figlia d’un carceriere, quanto dire poco meno che del boia?
Cornelio voleva protestare, e certo avrebbelo fatto di tutto cuore e nella sincerità di un’anima traboccante d’amore; ma la giovinetta lo interruppe, dimandandogli sorridendo: