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ne; ma per interessante che sia un tale soggetto non si può sempre parlare di tulipani.
Allora parlavasi d’altro; e con grande sua sorpresa il tulipaniere si accorse della immensa estensione che potrebbe prendere il circolo della conversazione.
Solamente Rosa aveva preso un abitudine: teneva il suo bel viso a sei pollici di distanza dalla graticola, perchè la leggiadra Frisona era senza dubbio diffidente di sè stessa, dacchè aveva sentito a traverso la graticola come il fiato di un prigioniero possa ardere il cuore di una giovinetta.
V’era una cosa che specialmente inquietava a quest’ora il tulipaniere quasi quanto i suoi talli, e sulla quale tornava incessantemente col pensiero: che Rosa dipendesse da un uomo come suo padre.
Cosicchè la vita di Van Baerle, dottore sapiente, artista pittorico, uomo eccezionale, di Van Baerle che il primo avrebbe secondo tutte le probabilità scoperto quel capo d’opera della creazione che chiamerebbesi, com’era stato già deciso, Rosa Barlaeensis; la vita, e meglio della vita, la felicità di quest’uomo dipendeva dal più semplice capriccio di un altro uomo, che era un essere di spirito inferiore, e di un’infima classe; gli era un carceriere, alcunchè di meno intelligente della stessa serratura che egli chiudeva, qualche cosa di più duro del chiavistello che tirava. Gli era un qualche cosa del Caliban della Tempesta, un medio tra l’uomo e la bestia.
Ebbene la felicità di Cornelio dipendeva da quest’uomo; e quest’uomo poteva, un bel giorno annoiarsi a Loevestein, trovarvi l’aria malsana, l’acqua-