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altri che nelle loro peregrinazioni visitavano l’Aya, Loevestein, Rotterdam, andando senza dubbio in cerca di biada di un’altra natura, di canapo di un altro gusto.

Ii caso, o piuttosto Dio, che Dio solo ci vede a fondo, Dio permise che Cornelio Van Baerle avesse preso per l’appunto uno di quei piccioni.

Ne resultò che se l’invidioso non avesse abbandonato Dordrecht per seguire il suo rivale all’Aya sulle prime, e poi di seguito a Gorcum o a Loevestein, come si vedrà, non essendo que’ due luoghi separati che dalla giunzione del Wahal con la Mosa, il biglietto scritto da Van Baerle sarebbe caduto nelle sue mani e non in quelle della balia; di modo che il povero prigioniero, come il corvo del ciabattino romano, avrebbe perduto tempo e fatica, e noi, invece d’avere a raccontare i varii casi che simili a un tappeto a mille colori vanno a svolgersi sotto la nostra penna, noi non avremmo avuto a descrivere che una lunga serie di giorni, pallidi, tristi e cupi come il manto della notte.

Il biglietto cadde dunque nelle mani della balia di Van Baerìe; imperò verso i primi giorni di febbraio, quando le prime ore di sera discendevano dal cielo; lasciando dietro a sè le stelle nascenti, Cornelio intese nella scala della torricella una voce che fecelo trasalire.

Si posò le mani sul cuore e stiede in orecchi. Era la dolce e armoniosa voce di Rosa.

Confessiamolo, Cornelio non fu però così stordito dalla sorpresa e così fuor di sè dalla gioia, quanto lo sarebbe stato senza la storia del piccione; il quale