Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
119 |
zata con reflesso sinistro, aveva volteggiato tre volte attorno la sua testa, come l’uccello di malaugurio attorno a quella di Turno; ma non l’aveva percosso e perciò ne aveva lasciate intatte le vertebre.
Ecco perchè non aveva sentito nè dolore nè scossa. Ecco ancora perchè il sole continuava a ridere nell’azzurro slavato, è vero, ma sopportabilissimo delle volte celesti.
Cornelio che aveva sperato Dio e il panorama tulipanico dell’universo, rimase un poco sconcertato, ma si consolò della sua non trista avventura con le risorse intellettuali di quella parte del corpo, che i Greci chiamavano trachelos, e che noi Francesi modestamente nominiamo collo.
E poi Cornelio sperò che la grazia fosse completa, e che si liberasse e si rendesse alle sue caselle di Dordrecht.
Ma Cornelio prese un qui pro quo; come diceva verso il medesimo tempo la signora di Sevignè, eravi un post-scriptum alla lettera, e la parte più importante della lettera era nel post-scriptum col quale Guglielmo Statolder d’Olanda condannava Cornelio Van Baerle a una perpetua prigionia.
Egli era poco colpevole per la morte, ma troppo colpevole per la libertà.
Cornelio ascoltò dunque il post-scriptum, poi dopo la prima contrarietà sollevata dalla decezione, che recava il post-scriptum:
— Eh? pensò egli, non è tutto perduto; che nella risoluzione perpetua avvi del buono: vi ha Rosa, sonvi ancora i miei tre talli del tulipano nero.
Ma Cornelio dimenticava che le Sette Province