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Un lampo balenò sul tavolato del palco: il boia, sguainava la spada.

Van Baerle disse addio al gran tulipano nero, certo di svegliarsi dando il buon giorno a Domeneddio in un mondo altramente illuminato, altramente colorito.

Tre volte sentì il vento freddo della spada passare sul suo collo rabbrividito; ma oh! sorpresa! non sentì, nè dolore nè scossa; non vide nessun cambiamento di sorta.

Poi ad un tratto, senzachè egli sapesse da chi, Van Baerle si sentì rialzare da mani assai delicate, e bentosto ritrovossi ritto su’ suoi piedi un pochetto barcollanti.

Riaprì gli occhi. Qualcuno leggeva qualche cosa presso di lui sopra una cartapecora con un gran suggello di ceralacca.

E il medesimo sole giallastro, come conviensi a un sole olandese, splendeva in cielo e la medesima finestra ferrata lo guardava dall’alto del Buitenhof, e i medesimi marrani non più urlanti ma sbigottiti, riguardavanlo dal basso della piazza.

A forza di aprire gli occhi, di riguardare, di ascoltare, Van Baerle cominciò a comprendere questo:

Che monsignor Guglielmo principe di Orange, temendo senza dubbio che le diciassette libbre di sangue, che Van Baerle oncia più oncia meno aveva nel corpo, non facesse traboccare la bilancia della giustizia celeste, aveva avuto misericordia del suo carattere, compassione della sua innocenza.

In conseguenza di che sua Altezza aveagli fatto grazia della vita. Ecco perchè la spada, che erasi al-