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notti a guarantirlo dal vento, il giorno a salvarlo dal sole. Il fiore sarà nero, ne sono sicuro. Allora farete prevenire il presidente della società di Harlem, che farà constatare dal consiglio il colore del fiore, e vi saranno contati i centomila fiorini.

Rosa gettò un gran sospiro.

— Adesso, disse Cornelio, asciugandosi una lacrima affacciatasi all’orlo della sua palpebra e che era tributata più a quel maraviglioso tulipano nero che non doveva ormai vedere, che alla vita ch’ei doveva lasciare, io non desidero più niente se non che il tulipano si chiami Rosa Barlacensis, cioè che richiami al tempo stesso il vostro nome e il mio; e non sapendo voi punto di latino, facilissimamente vi potreste dimenticare di tali parole, fate che io abbia un apis e della carta, che ve le scrivo.

Rosa singhiozzando forte, porsegli un libro rilegato in sommacco, che portava le iniziali C. W.

— Che cosa è? domandò il prigioniero.

— Ahimè! rispose Rosa, è la Bibbia del vostro compare Cornelio de Witt, in cui attinse la forza di subire la tortura e di ascoltare senza impallidire la sua sentenza. L’ho trovata in questa stanza dopo la morte del martire e la conservo come una reliquia; ve l’avevo oggi portata, perchè mi pareva che questo libro avesse in sè una forza tuttaffatto divina. Voi non avete avuto bisogno di questa forza che Dio vi ha concessa. Che sia lodato! scriveteci sopra ciò che avete da scrivere e, per quanto io abbia la disgrazia di non saper leggere, sarà fatta la vostra volontà.

Cornelio prese la Bibbia e la baciò rispettosamente, dicendo: