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— Diavolo! mi pare, se non sbaglio, aver sentito battere le dieci almeno da venti minuti fa. Non ho tempo da perdere.
— Per riconciliarvi con Dio, sì, o signore, disse il cancelliere salutandolo profondamente, e potete chiedere quel ministro che vi piacerà.
Dicendo queste parole escì all’indietro, e il carceriere provvisorio affrettavasi a seguirlo chiudendo l’uscio di Cornelio, quando un candido braccio tutto tremante s’interpose tra quell’uomo e la porta pesante.
Cornelio non vide che la cuffia d’oro a orecchiette di merletti bianchi, acconciatura delle belle Frisone; ei non intese che un bisbiglio all’orecchio dello sbirro; ma costui mise le sue chiavi pesanti nella bianca mano a lui stesa, e scendendo alcuni scalini si sedette a mezza scala, da lui guardata all’alto, al basso dal cane.
La cuffia d’oro fece un volta faccia, e Cornelio riconobbe il viso irrigato di pianto e i grandi occhi turchini tutti bagnati della bella Rosa.
La giovine avanzossi verso Cornelio, appoggiando le sue due mani sull’affranto suo petto.
— Oh! signore! signore! diss’ella.
E non potè dire altro.
— Mia bella ragazza, replicò commosso Cornelio, che desiderate da me? Ormai non ho da star molto su questa terra, voi già lo sapete.
— Signore, vengo a chiedervi una grazia, stendendo un po’ le braccia verso Cornelio e un po’ verso il cielo.
— Racconsolatevi, o Rosa, disse il prigioniero;