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chese di Louvois. E protesto finalmente che ignoro come siasi potuto sapere che quell’involto fosse presso di me, e soprattutto come io possa essere colpevole per avere ricevuto ciò che portavami il mio illustre infelice compare.

Questa fu tutta la perorazione di Cornelio. I giudici andarono ai considerandi:

Che ogni germoglio di dissezione civile è funesto, e suscitatore di guerra, e che è interesse di tutti estinguere.

Che (e questa considerazione fecela un uomo che passava per un profondo osservatore) quel giovine così flemmatico in apparenza doveva in sostanza essere dannosissimo, attesochè dovesse nascondere sotto il manto di ghiaccio che servivagli di inviluppo, un ardente desiderio di vendicare i signori de Witt suoi prossimani.

Che, secondo un altro, l’amore dei tulipani legasi perfettamente con la politica, e che è storicamente provato che molti uomini pericolosissimi hanno atteso al giardinaggio nè più nè meno, che se eglino se ne occupassero esclusivamente, quantunque in fondo si occupassero di ben altre cose; testimone Tarquinio Prisco, che coltivava papaveri a Gabio, e il gran Condè che innaffiava i suoi aglietti nella reclusione di Vincennes, e ciò al momento che il primo meditava la sua rientrata a Roma e il secondo la sua escita di prigione.

I giudici conclusero con questo dilemma:

O Cornelio Van Baerle ama fortemente i tulipani, o ama fortemente la politica; nell’uno e nell’altro caso ha mentito, primo perchè è provato che si