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gendosi, e cadendo ci si rompe il braccio, e lascianvi là sul mattonato.
— Zitto, babbo mio, disse Rosa, voi siete ingiusto verso questo signore, che ho trovato tutto occupato a soccorrervi.
— Lui? fece Grifo non persuaso.
— Gli è tanto vero, o signore, che sono pronto ancora a soccorrervi.
— Voi? disse Grifo; che siete dunque medico?
— È la mia prima professione, rispose il prigioniero.
— Talchè mi potreste rimettere il braccio?
— Perfettamente.
— E che ci vuole, vediamo?
— Due spranghette di legno e fasce di lino.
— Senti, Rosa, disse Grifo, il prigioniero mi rimette il braccio; vediamo, aiutami ad alzarmi: — sono di piombo.
— Rosa presentò al ferito la sua spalla; ed egli abbracciò il collo della giovinetta col braccio sano, e facendo uno sforzo, rizzossi, mentrechè Cornelio per risparmiargli di muoversi, tirò verso lui una seggiola. Grifo vi si assise, e poi volgendosi alla sua figlia, le disse:
— Hai bene inteso? Va’ a cercare ciò che ci vuole.
Rosa scese e ritornò poco dopo con due doghe da barile e una gran fascia di lino. Cornelio si era intanto occupato a levare il vestito al carceriere e a rovesciargli le maniche.
— Va bene così? domandò Rosa.
— Sì, mia fanciulla, le rispose Cornelio gettando un’occhiata sugli oggetti portati; sì, va bene. Intanto