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per sua figlia. Quel romorio era dei cadaveri che erano strascinati e condotti ad essere appiccati nella piazza solita alle esecuzioni.

Anco questa volta Rosa si nascose non per paura ma per non vedere l’orribile spettacolo.

A mezza notte fu picchiato alla porta del Buitenhof, o piuttosto alla barriera che aveala rimpiazzata. Era Cornelio Van Baerle che colà era condotto.

Quando Grifo carceriere ricevette quel nuovo ospite, ed ebbe veduto sul mandato di reclusione la qualità del personaggio:

— Figlioccio di Cornelio de Witt, mormorò col sogghigno del carceriere; oh! giovanotto! abbiamo qui appunto la camera di famiglia; eccoci a darvela.

E contento del bel garbo da lui disimpegnato, il tristo orangista prese la sua lanterna e le chiavi per condurre Cornelio nella cella, che Cornelio de Witt aveva lasciato quella stessa mattina per l’esilio tale, quale lo intendono in tempo di rivoluzione quei moralisti sublimi, che spacciano come assioma di alta politica:

«I morti soli non tornano.»

Grifo dunque si preparò a condurre il figlioccio nella camera del compare. Per dove bisognava passassero per arrivare a quella stanza, il disperato coltivatore di fiori altro non intese che l’abbaiare di un cane, altro non vide che la faccia di una giovinetta.

Il cane escì da una nicchia praticata nel muro scuotendo una grossa catena, e fiutò Cornelio affine di bene riconoscerlo al momento che gli fosse comandato di divorarlo.

La giovinetta, quando il prigioniero fece cigolare