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Isabella di Luna, un giorno, avea
Per la notte ad un giovine promesso,
Poi stà con altro e a quel che non potea
Disse che ritornasse il giorno apresso;
Quel venne e come l’altro far solea
La chiavò ben nell’uno e l’altro sesso,
Poi le lasciò di rame una catena
Tenetur illi ne de falsi paena?
Avea locato Giulia di Martino.
Un frate per chiavarla un tanto il mese,
In otto giorni fu stanco il meschino,
Per il soverchio scuoter dell’arnese:
E lasciò in suo loco Frà Venturino
Per darsene a quell’opra a proprie spese.
Utrum per questa satisfazione
Dee perdere il salario il Frà Briccone?
Per dar Ortensia gusto ad un suo amante,
E del suo corpo il più soave loco
Il cul gli diè, ma con promessa avante
Che v’abbia a por del suo gran cazzo un poco.
Quello non potè star così costante
Alle primarie furie di quel giuoco
Tutto nel cul vel pose. Utrum Ortensia
Accusare lo possa di violenzia?