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— Villano! vigliacco! mascalzone!... Credermi un ladro!... Fare di quelle proposte a me!... — inveiva il fanciullo cogli occhi annebbiati di rabbia, e stava per risalire le scale, ricoverarsi dalla nonna, quando il campanello trillò nuovamente.
Per paura che fosse ancora l'americano tornato sui suoi passi, Nennè non aperse, ma aspetò, trepidando, che la suonata si ripetesse. Forse era qualche altro visitatore, forse il postino....
Infatti udì un piccolo fruscìo di sotto all'uscio, e vide che qualcuno aveva passato dallo spiraglio una lettera. Si chinò a raccoglierla; il sangue gli diede un tuffo. Non era una lettera: era una cartolina, e veniva dall'Italia. Una mano infantile aveva scritto:
A Nennè, custode della Casa di Dürer, Norimberga.
Un saluto da Venezia. Se torni in Italia vieni a trovarci.
Paolo.
Seguiva il nome e l'indirizzo.
Essi!... Se n'erano andati.
Seduto sul primo gradino della scala, col lumicino allato, Nennè girava e rigirava quel quadratino di carta, quel piccolo indifferente addio, e lo rileggeva per la centesima volta, e ne contava le sillabe.
Poi le lagrime finalmente: fitte, cocenti, disperate, gli colarono giù per le guancie.
Se n'erano andati.
E d'improvviso gli pareva che tutto gli fosse