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la povertà e lo squallore, linee mirabili e pure d'un'architettura quasi scomparsa, neri torrioni lungo le fortificazioni, ringhiere in ferro battuto di cui l'edera aggrappandosi tenace quasi celava il leggiadro disegno, malinconico fascino di una campagna pallida, gaiezza di un nero balcone sporgente sotto una pioggia di geranei rossi!... Tutta, tutta la poesia che il piccolo vagabondo aveva sentito di quella terra straniera, voleva dire a loro della sua Italia, sicuro che l'avrebbero compreso.
— Li condurrò io, — pensava Nennè. — La nonna sta per guarire. Io uscirò con loro. — E intanto con un'ingenua matita si accaniva a copiare «il mazzolino di violette», l'indimenticabile mazzolino che tutto il mondo conosce, a cui Dürer come a un volto, come a uno sguardo, ha dato anima e vita: il celebre mazzolino che pare appena raccolto, appunto da una mano infantile, sotto un ciuffo di felci, umido e fresco, per esser dato a qualeuno cui si voglia bene.
— Lo darò alla signora quando tornerà. Le chiederò di Messina....
Ma essi non tornavano. Passavano i giorni; ad una primavera capricciosa seguiva una pazza estate; pioveva a dirotto, un gran vento turbinava notte e giorno e strappava i fiori e le foglie della corona appesa sulla facciata della casa di Dürer come su di una pietra tombale.
Wagner non lasciava quasi più la cesta da lavoro della nonna; la gabbia di Beethoven era