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qualche sgraziata donna dalle guance rosse e paffute, qualche signore dal profilo tagliente, dallo sguardo duro...: la vita, quale egli la vedeva intorno a sè; i tipi vivi, eterni, della razza tedesca, tradotti sulle carte con un rilievo ed una verità che li faceva immortali. Poichè, Nennè non sapeva bene se «il tipo» l'avesse inventato il pittore, o la natura; se «il modello» fosse la stampa incisa, o l'uomo vivo che oggi era lo stesso di cinque secoli fa....
E quell'Albrecht Dürer, scomparso e onnipresente, quel meraviglioso animatore di un popolo, ch'egli vedeva là, nel suo autoritratto, biondo come un Cristo, coi lunghi capelli spioventi sulle spalle, gli occhi assorti e la bocca volontaria e triste, lo faceva curioso e pensoso.
Grossi libri che raccontavano di lui giacevano nella cassapanca tarlata; bisognava cercare, qualcuno forse era francese.... Ma la sua vita non era già là, nella sua casa, raccontata da lui stesso con parole immortali? Nennè non conosceva già sua madre, scarnita dalle sofferenze e strabica, suo padre, dall'aria austera e dall'occhio acuto, due dei suoi diciassette fratelli, Hans ed Andrea? E il vecchio maestro Michele Wolgemut, e il grande amico Wilibald Pirkeimer?... Non conosceva il ritratto di Erasmo di Rotterdam, ricordo di un viaggio a Bruxelles, ed i dolci paesaggi del Tirolo, nostalgia della primavera italiana?...
Ormai il fanciullo vedeva senza terrore arrivare la sera e le tre amiche della nonna, pensava