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fame, la nonna lo vedeva comparire soltanto alle ore dei pasti, pieno di freddo, ispido e arruffato, silenzioso e stanco.
Ed invano, in tedesco, in francese, con una disperata mimica cosmopolita, ella tentava di persuaderlo a desistere da quel perpetuo vagabondaggio, tentava di attaccarlo alla catena: il falchetto era troppo selvaggio, non si poteva addomesticare.
Sì, qualche volta, tocco dalla terribile minaccia:
— «Je vais afertir les audorités.... On te renfermera dans un gollege.... Il y en a de très pons à Nuremberg...» — egli si faceva violenza, tentava di assoggettarsi alla schiavitù, restava in casa qualche mezza giornata, ozioso e taciturno fra la finestra e la stufa, con Wagner tra le braccia.
Il gatto dormiva; Nennè guardava fuori coi grandi occhi appassionati; e c'era tanta malinconia, tanta nostalgia, tanta disperazione in quegli occhi di fanciullo che la nonna stessa ne avëva pietà:
— «Sors! sors! Bromène toi!» — Ed egli non rientrava che a sera.
Ma la sera portava a Nennè un nuovo supplizio. La sera venivano le visite. E non erano visite per Dürer, erano per la nonna.
Frau Minna, Frau Elsa, e Fraulein Gretchen, le sue tre intime amiche, capitavano a tenerle compagnia.
Intorno alla tavola, con un vecchio mazzo di carte in mano e quattro monumentali shops di