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La mattina dipoi, quando Nennè si svegliò non nevicava più. C'era il sole, un sóle pallido e pigro che scendeva da un grigio cielo ventoso, e sotto quel sole e quel vento le case parevano ancora più nere, i geranei più rossi, la neve più bianca.
Fosca e turrita sotto il suo manto d'ermellino, la città si destava.
La nonna, già in piedi, andava e veniva per la casa, aveva già spazzato la cucina, accesa la gran stufa di maiolica, ed ora fregava energicamente il pavimento del «quartierino di Dürer», il salotto ancora intatto, le quattro stanzette dove sono raccolte e bene ordinate le collezioni di stampe originali e riprodotte.
Bisognava che tutto fosse all'ordine per le dieci: d'inverno come d'estate la casa era continuamente visitata da forestieri di passaggio.
Infatti alle undici: — Triiiin! — il campanello trillò, un signore e una signora imbacuccati nelle pellicce, due russi, salirono, pagarono la tassa d'ingresso. La nonna se ne andò con loro, e intraprese un'interminabile spiegazione.
Nennè, seduto presso alla tavola fra la finestra e la stufa, con un gran tovagliolo annodato sotto il mento, aveva appena finito di ingoiare