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— «Bist du hungrig?... Bist du durstig?...»

— e gli offriva una fetta di torta, un bicchiere d'acqua zuccherata, gli tastava il ventre, e gli sussurrava all'orecchio:

— «Abort?...»

Urli e strilli e lagrime più copiose risposero a quell'obbrobriosa parola, l'unica di cui Nennè fosse ben certo perchè l'aveva vista scritta a grosse lettere in tutte le stazioni del suo viaggio sopra edifici di cui lo stile non ammetteva dubbii.

— «Non! non!... Il y a dehors de vilaines têtes qui me régardent!... Je veux m'en aller! je veux m'en aller!...» — spiegò egli irato ed offeso, ripescando nella sua memoria, per avvicinarsi a quella donna straniera, l'unica lingua straniera che conosceva, il povero francese racimolato dai ragazzi svizzeri delle fabbriche.

— Oh?!... — disse allora la nonna. E benchè egli urlasse e si dibattesse, lo prese a forza tra le braccia, attraversò con passo energico la saletta e le stanze terribili, lo depose sul lettino già preparato. Egli teneva i pugni serrati sugli occhi, buttava le gambe di qua e di là, tentava di mordere le mani della nonna, ma i singhiozzi si facevano sempre più languidi. Il tepore del letto, il suo morbido invito, agivano già sulla stanca fanciullezza come un fulmineo filtro benefico; e la nonna poteva incominciare a spogliarlo, gli toglieva le scarpe, gli asciugava le lagrime che rigavano di solchi chiari il visetto sporco e convulso, lo metteva