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il tresette davanti a una bottiglia di vin spumante.

Quella sera non giocavano.

Ella sentì il conte Ademaro singhiozzare.

— È una fatalità, una fatalità terribile che pesa su di noi! — diceva egli con voce rotta. — Incominciavo appena ad aprire il cuore alla speranza.... Ha tutti i sintomi degli altri, dei miei, ditemi?...

— Amico mio, sarebbe inutile lasciarvi delle illusioni.... Purtroppo!... Voi stesso rivedete in lui quelli che non sono più. Ed oltre a ciò egli porta nel sangue dei germi di miseria, di debolezza, che i vostri non avevano. È figlio di Folco, e Folco ha un tale passato, voi sapete....

— Condannato! — proruppe il conte Ademaro. — È condannato!... Tutto per nulla! tutto per nulla!... Quello che ho fatto, quello che ho tentato, il sacrificio che Clemenza ed io abbiamo sostenuto abbassandoci a queste nozze, tutto per nulla!... Inutilità! miseria! fatalità!!... E Clemenza almeno ha la fede che la sorregge, che le dà tutti i coraggi, tutte le rassegnazioni! Ma io? io?...

— Calmatevi, calmatevi, amico mio. Avrete degli altri nipotini, presto; la madre è sana, quando si riavrà un po', ve ne farà degli altri. Non è detto che tutti debbano subire la stessa sorte. Certo, bisognerà abbondare nelle cautele, esser sempre preparati, non sperar troppo presto.... Il ceppo è leso.... Ma infine chi vi dice che qualcuno non possa sopravvivere? Raccomandate a Folco una vita più regolata, senza