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aveva inghiottito qualche goccia di latte; questo fatto aveva completamente cancellato dalla sua memoria la scena della notte.
Bisognava che il piccolo mangiasse e dormisse, aveva raccomandato il dottore, ed ella stava presso di lui come un came da guardia, vigilante e feroce, ma non inquieto.
Ella non lo vedeva in pericolo, non le balenava neppure l'idea che fosse grave. Non aveva febbre, non aveva tosse, nessuna malattia dichiarata, si trattava di una debolezza passeggera forse causata dalla dentizione.
Il dottore fece spalancare le finestre. Prese in braccio il bimbo, nudo, lo ascoltò e lo battè da tutte le parti. I vagiti si fecero più lunghi, più lamentosi, più stanchi.
— Non c'è nulla.
— Dorme assai poco, dottore, è molto inquieto....
Il dottore scrisse una ricetta e la consegnò a Giovanna.
— Mangia anche poco....- aggiunse Rosa.
La contessa Clemenza e il conte Ademaro si scambiarono uno sguardo.
Lo spettro del passato ondeggiava fra loro in quella stanza di tristezza, presso a quella culla che l'ala della morte sfiorava.
— Faremo un'altra novena, — disse la contessa Clemenza, — accenderemo due candele a San Vincenzo.
Uscirono, lei e il marito, in punta dei piedi, come due fantasmi.
Il dottor Fabrizi indugiò ancora un momento presso alla culla.