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paura, gelosia, dolore, era a.... Ma come, come farlo capire ad Elmìr, che ormai forse la disprezzava, che la giudicava leggera, superba e fredda, incapace d'un sentimento e d'un pensiero? Come dirgli?...
Un pudore quasi doloroso sigillava le sue labbra: quanto più soffriva, quanto più amava, quanto più era donna in tutto il significato di debolezza e di abbandono, tanto più si ritraeva in sè stessa, avvolgeva la sua anima di veli.... Sola, sotto la sua bianca tenda, ella pianse le più disperate lagrime.
Ma, nei giorni seguenti, con ogni mezzo, pur nel silenzio, come una donna sa, cercò di farsi perdonare. Elmir del resto non aveva verso di lei cambiato contegno; in ogni atto, in ogni momento, le dimostrava deferenza e sollecitudine. Soltanto quando Biancofiore nei lunghi pomeriggi tentava di condurlo a parlare della sua infanzia, dei ricordi suoi più lontani, più intimi e più cari, la fronte di lui si faceva scura, le labbra restavano ostinatamente mute.
— Non mi perdona! non dimentica!... — gemeva fra sè la fanciulla. — Così mi punisce! — ed ogni giorno penetrava furtiva nella tenda di lui e deponeva alcuni fiori sotto all'imagine di sua madre.
Elmìr trovava quei fiori e taceva. Ma i suoi occhi posandosi su Biancofiore si addolcivano talvolta di un'improvvisa tenerezza. I giorni passavano. Aveva egli perdonato? Una sera egli cantava sommessamente.
— Che cosa canti, Elmir? — chiese con timidezza