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coll'altro: tutto ciò è molto antipatico, e li induce a manifestarsi forse peggiori di quello che sono. Lasciate che io abbandoni il mio palazzo, che esca dal mio reame, che viaggi il mondo e le corti, e che io studi gli uomini come sono in realtà, quando nulla li sprona a fingere, a posare, a mentire. Chissà che non riesca finalmente a scoprire quello che il mio cuore aspetta: il più bello, il più valoroso, il più degno?... Permettetemi la prova, mamma di Biancofiore; lasciatemi partire: in capo a un anno avrò scelto uno sposo.

La Fata arricciò il naso e rimase soprapensiero.

Benchè quelli fossero tempi in cui le fate godevano una grande autorità e le principesse una grande emancipazione, l'idea che Biancofiore girasse il mondo in cerca di uno sposo, le pareva grave e poco dignitosa. Ma la fanciulla le accarezzava gentilmente la mano, e la guardava con due occhi così dolci e supplichevoli che nessuno avrebbe potuto resistere. Vinta e convinta, la Fata domandò: — Chi ti accompagnerà?

Biancofiore rimase perplessa, ma fu un attimo. Giocondamente, ella battè le palme ed esclamò: — Elmìr!

Elmìr era suo cugino, il giovinetto orfano che viveva alla reggia con onori e diritti sovrani, tranne quello di regnare perchè figlio d'una schiava.

La Fata calcolò ad alta voce come riflettendo: — ....Elmìr.... la nutrice.... dieci cavalieri di