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quel groviglio umano, quelle due miserie in guerra.
Avevano raggiunto il ciglio della strada.
Allora Innocenza cessò di lottare, e senza forze si abbattè sull'erba. Lagrime disperate le scesero lungo le guancie.
La madre le si inginocchiò accanto e le baciò le mani; le accarezzò le guancie, i capelli, prese i piedi di lei fra le palme, e col fiato tentò di riscaldarli.
Un interminabile tempo passò. La mezza suonò all'orologio del paese. Innocenza si rizzò a sedere e fissò sua madre in volto, senza più furore.
— Mamma, bisogna che io vada.
E tale era il suo accento che la madre comprese che nessuna forza umana avrebbe potuto più trattenerla.
Allora, in ginocchio, a mani giunte, con una voce nuova, colla voce bassa e lieve che aveva trovato improvvisamente per lei quando l'aveva accolta per la prima volta fra le braccia piccola moribonda, curva al suo orecchio, tremante, la madre parlò. (Forse le parole non furono queste, ma il senso.)
— Sentimi, Innocenza. Se vuoi proprio morire, se assolutamente hai deciso, lasciami venire con te. Io non ho che te, non ho avuto che te al mondo che mi sia caro. Che ti ho fatto, perchè tu voglia andartene senza di me?... Credi che la vita mi sia dolce? Che sia stata diversa dalla tua?... Ascoltami, guardami. Non si mente sull'orlo dell'abisso come stiamo tu