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figlia, greve come il piombo, tenace come una piovra.

Ora anche Innocenza ansimava; ansimava e batteva i denti; aveva il volto graffiato, i capelli strappati e scarmigliati, dal polso ferito le colava il sangue, era molle di sudore dalla testa ai piedi. E Nanna dietro a lei.

A un tratto Innocenza si voltò, cercò nelle tenebre il volto di sua madre. Le soffiò in volto:

— Lasciami.

Nanna non rispose, e l'agguantò più forte.

Allora, nella notte nera, sulla riva viscida, madre e figlia selvaggiamente si misero a lottare.

L'una cercando di liberarsi, di sfuggire, di guadagnare la costa, con morsi e graffi respingendo la disperata, che senza un lamento, senza difendersi, seminuda, coi bianchi cernecchi irti sul capo, perdutamente afferrava la figlia, e la ghermiva come una preda.

Frasi disperate e roventi, coll'ululo del vento, empivano le pause del duello tragico.

— Perchè mi hai messa al mondo?... Lasciami che me ne vada! Lasciami morire!... Tu devi odiarmi, se vuoi farmi vivere ancora!

E l'accusa inconfessata, l'umiliante invidiosa accusa, sulla soglia della morte, sibilava finalmente fra le labbra bianche:

— Tu, non sai che cosa sia la mia vita! Tu!... Devi ridere di me! tu, che sei stata amata! Tutte sono state amate! Perfino tu!... Lasciami, ti dico, lasciami morire! Assassina, sci, se non mi lasci morire!

La notte nera, il cielo indifferente, guardavano