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figlia, le posò la mano sul capo, chiese con umile timidezza:

— Perchè piangi, Innocenza?

Quella balzò:

— Non piango! Non piango! Perchè dovrei piangere?... Vattene!

E in quel momento sentì di odiare sua madre.

Sì, di odiare sua madre.

Ormai un sordo rancore, un'acre invidia, una perfida gelosia l'inasprivano anche contro di lei.

«Ella», «ella», sapeva che cos'era l'amore!... Ella era stata amata, scelta, voluta a forza, accarezzata da un uomo innamorato. Che importava il resto?... Che importava il dolore, la miseria, il sacrificio «di tutta una vita», dipoi?... Fosse pure per un'ora, ella era stata amata, era stata felice: nella sua esistenza e'era questo lume!...

Mentre Nanna faticosamente si aggirava per la cucinetta intenta a preparare la cena, oppure nel piccolo giardino ad annaffiare le violacciocche dell'unica aiuola, la figlia la seguiva cogli occhi, notava — per la prima volta, dopo tanti anni!... — il corpo deforme di lei, i grigi ispidi capelli, la goffa e cascante grassezza, il penoso trascicare della gamba sciancata, e non guardava con occhi di figlia, ma con cattivi occhi di donna, di rivale.