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Vi sono sventure che strappano le lagrime; altre, più insultanti e più atroci, che muovono il riso, che eccitano lo scherno, il frizzo mordace, quasichè il loro aspetto abbia il potere di attirare a galla quanto nell'anima umana v'ha di più spietato e perverso.

La sventura di Innocenza era fra queste.

La sua comparsa al concerto aveva attirato l'attenzione; la sua deformità, resa ridicola dalla bizzarra e ricercata acconciatura, l'ansiosa smania di piacere, l'esasperata debolezza con cui aveva accolto le buffonesche galanterie del sergente, l'insistenza con cui si accaniva a mendicare l'amore, avevano fatto di lei lo zimbello di tutte le ironie, la caricatura meta di tutte le beffe: il bersaglio, cui ogni passante si credeva in diritto di scagliar la sua pietra.

L'innamoramento per Zeffirino fu risaputo: raccontato e abbellito da Pasquetta di molti particolari; vi fu chi assicurò che ella era stata anche innamorata del cappellano, e che attualmente faceva gli occhi dolci al vecchio sordo che colla sua barca portava i passant di là del fiume. Qualcuno dubitò; altri volle provar «se era vero». E per qualche tempo «far la corte alla gobbetta» divenne il trattenimento di moda, lo spettacolo quotidiano più attraente e saporito. A una cert'ora a Castelluzzo