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Sulla prima pagina della «Scintilla del bene» apparve un articolo di fondo di quattro colonne, listato a bruno, con questo titolo a lettere cubitali: «Horresco referens».
Ma le due principali eroine non lo lessero.
Nina, la rossa, fuori della porta della sua osteria, colle mani sotto il grembiale e la bella bocca senza pentimenti, rideva e canterellava; Innocenza, cui le confuse reminiscenze della serata avevano lasciato una più ardente irrequietudine, una più torbida arsura, capitava in paese due o tre volte al giorno, passava e ripassava davanti alla caserma, tirando il collo, sperando di vedere il suo sergente, di cui non rammentava bene il volto, ma le braccia robuste che l'avevano abbrancata e fatta girare vorticosamente, i lucidi bottoni, il fiato caldo e vinoso.
Il sergente era irreperibile; ma fuori della caserma c'erano sempre soldati, e al passar della gobbetta, azzimata, infarinata, che li guardava tutti con occhi avidi, umili, e sfacciati, si davano di gomito, assumevano delle pose assassine, e poi sghignazzavano alla più bella.
Un'anima caritatevole stese un piccolo rapporto anonimo, e l'indirizzò a Madre Gesualda da poco rientrata all'Istituto dell'infanzia derelitta.
La chiamata della Superiora piombò fulminea e inaspettata.
— Va tu, mamma: io non vengo!... — dichiarò dispettosamente Innocenza. — Sono stanca di essere sotto tutela! Dille che ci lasci in pace,