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gli applausi del carabiniere. Ella diede una spavalda strappata al campanello: tosto due occhi spiarono dalla grata, e la porta ferrata, con grande rumore di chiavi, girò sui cardini.
— Che odore di chiuso!... — borbottò Innocenza all'orecchio di Nanna, ed inoltrarono una dietro l'altra nel corridoio.
Ma non appena la portinaia guercia ebbe richiuso dietro a loro pianamente l'uscio del parlatorio, madre e figlia si sentirono riafferrate da quel non so che di tacito e di ferreo che stagna nella chiusa atmosfera dei conventi, delle chiese, delle prigioni, che induce a smorzare la voce ed il passo, che immobilizza le volontà.
Nel nuovo vestito a fiorami, nella nuova pettinatura a rigonfi, Innocenza si sentì a disagio. Ella si passò la manica sulle guancie per toglierne la polvere; incontrò gli occhi di sua madre, grossi e spaventati.
Ed ecco che la porta si aperse pianamente, e Madre Gesualda entrò. Sottile come un cero, pallida, col volto soffuso di bontà, e fasciato dalle bianche bende. I neri occhi di lei, l'unica cosa viva ed ardente in tutto quel pallore, si posarono fuggevolmente con un'impercettibile espressione di sorpresa sull'abbigliamento strano della sua protetta, ma la voce tranquilla non tradì nessuna contrarietà, le mani si offersero a baciare, molli e benedicenti.
— Avete fatto tutto questo viaggio per...? Racconta, racconta, figlia mia.
E Innocenza incominciò a raccontare. Prima esitante, cercando le parole, arrossendo sotto