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La ragazza scese di volo.
— C'è una lettera da Mantova, una raccomandata, — disse il grosso uomo colla bisaccia a tracolla.
Innocenza firmò sul libro, poi aperse la lettera, e lesse.
— È della Superiora, ci annuncia che fra quindici giorni l'istituto sarà riaperto, — diss'ella duramente, e gettò la lettera sulla tavola. Dalla busta cadde un'imagine sacra, contornata di trafori. Nanna si chinò a raccoglierla.
— Che cosa facciamo?... — chiese con timidezza non osando guardare la figlia.
Questa, che si era messa alla finestra colla faccia tra le mani, si volse impetuosamente alla madre.
— Non penserai che torniamo a seppellirci là dentro, non è vero? Non penserai che io torni ad essere la schiava e la serva di tutti, non ti passerà per la mente?
Nanna curvò la schiena come il cane quando il padrone lo batte.
— Faremo quello che vuoi tu, cara, — rispose umilmente. — Non arrabbiarti.
La ragazza si riaffacciò alla finestra e cominciò a strappare le foglie secche dalle piante di geranio. Le strappava rabbiosamente e poi le gettava nella strada. A un tratto rientrò verso sua madre e disse, più calma:
— Senti; ho pensato. Congedarci dalla Superiora, bisogna, altrimenti direbbero che ricambiamo coll'ingratitudine i beneficî. Noi li abbiamo pagati dieci volte, tu ed io, in sedici