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— Ma no, cara, no; non temere: ascolta. Anche a me avvenne. Sì, certo... avvenne, avvenne anche a me.... Non ti affannare: ascolta.

Più l'ombra infittiva, e più Nanna si faceva loquace. Coi gomiti sulla tavola, colla testa fra le mani, nel buio, ella raccontava. Era sparito l'imbarazzo penoso del primo giorno; ora i dettagli si moltiplicavano; gli episodî fiorivano; il suo sposo era descritto come un eroe, come un Dio; il periodo del loro fidanzamento come un periodo d'incantata felicità.

— I suoi parenti si opposero perchè io ero povera, ma egli mi volle, mi volle a tutti i costi....

Qualche contraddizione cadeva qua e là nella meravigliosa favola, ma nè la narratrice nè Innocenza ne avevano coscienza. Madre e figlia erano immerse in un'atmosfera di sogno.

Infine la voce di Nanna taceva, e improvvisamente lo scorrere del fiume fra le alte sponde nere riempiva del suo fruscìo la cucinetta.

Innocenza diceva con un sospiro:

— Accendi, mamma.

La madre accendeva la lucerna; si guardavano in viso tutte e due un po' pallide; si mettevano a mangiare in silenzio, l'una davanti l'altra, la zuppa fredda e oleosa, e tratto tratto smettevano di mangiare per sorridersi, cogli occhi umidi e felici.

Un giorno Innocenza era nella sua camera quando Nanna la chiamò:

— Innocenza, il postino!