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cantava a squarciagola dalla sponda opposta del fiume.
Innocenza sentiva, e scuoteva il capo con disprezzo. Nanna borbottava:
— Tutta rabbia!
E allora Innocenza se ne andava sola al paese, tutta bene acconciata dalle mani di sua madre che le arricciava i capelli e le metteva la cipria sul viso. Ogni sera Nanna le stirava il vestito nuovo a fiorellini viola, e la guardava allontanarsi rapida, colla testa un po' storta, carica di trecce, e le lunghe braccia magre.
Zeffirino vedeva da lontano giungere la gobbetta; usciva dalla bottega.
— E Pasqua? — domandava.
Qualche volta non lo domandava neppure, ma era nervoso, turbato, si capiva che avrebbe voluto dire qualche cosa e non osava.
Innocenza lo guardava coi suoi grandi occhi avidi, colla testa un po' curva sotto il peso delle trecce, gli diceva timidamente:
— Vuole accompagnarmi per un po' di strada?...
Ed egli l'accompagnava; ma l'imbarazzo cresceva, il silenzio si faceva greve, Zeffirino le dava il fiore che stava rigirando fra le mani, si congedava in fretta, riguadagnava in due salti la soglia della sua bottega. Qualche ozioso gli chiedeva ridendo:
— A che punto siamo, Zeffirino, colla gobbetta?
Innocenza tornava a casa trasfigurata dalla gioia, portando il fiore come una reliquia, come