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— Come sa che mi chiamo Innocenza? — chiese la ragazza al compagno.
— Me l'ha detto la sua amica, quando passava sola, e degnava rispondere alle mie domande, — fece Zeffirino, e più forte: — A lei, signorina Innocenza, prenda questo garofano: lei se lo merita, perchè è tanto gentile quanto è elegante.
La fanciulla prese delicatamente fra il pollice e l'indice il gambo esile del garofano e avvicinò il fiore alle nari. Poi sorrise a Zeffirino con infinita riconoscenza.
Il giovane ormai non rivolgeva più il discorso a Pasquetta: tutte le sue attenzioni erano rivolte a Innocenza. Pasquetta si era chiusa in un ostinato mutismo.
Innocenza rideva, scuoteva la testa con civetteria, stringeva le labbra, guardava Zeffirino con estatica ammirazione; gli occhi luccicavano di gioia nel viso aguzzo.
Fatte le provviste, s'incamminarono verso casa.
Quando furono davanti al cancelletto della capanna, Innocenza chiamò forte:
— Mamma!
S'intese lo scalpiccìo del faticoso passo di Nanna, ma Pasquetta non l'attese, e piantò in asso i due con un burbero «buona sera».
Nanna apparve sulla porta della cucinetta dove un fuocherello divampava allegro.
— Vede?... — disse Innocenza, — questa è la mia mamma, e questa è la nostra casetta. Era un orrore quando ci arrivammo, pareva una