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di sua madre, e con molta tristezza. Ambedue tacevano; Nanna lavorava; Innocenza guardava il fiume scorrere. Non conoscevano nessuno.
Pasquetta passava ogni giorno sola con un piccolo paniere; aveva un fiore tra i capelli e canterellava; ed ella, che sorrideva a tutto: al fiume, agli alberi, alle rondini, aveva sorriso anche alle due sconosciute che vedeva ogni sera silenziose allo stesso posto. Poi aveva cominciato a salutarle, a sostare davanti al cancelletto, a scambiare qualche parola.
L'amicizia si era legata in fretta. Veramente era stata Nanna a precipitare le cose. Avendo capito che la figlia moriva dalla voglia di uscire a passeggio, aveva trattenuto Pasquetta con un pretesto, poi le aveva offerto una fetta di focaccia, e, da una parola all'altra....
Le ragazze trottavano a braccetto chiacchierando.
Era il tramonto. La strada, alta sull'argine che seguiva il fiume, era popolata di frotte d'operaie che uscivano dalle fabbriche per tornare alle loro case; gruppi di giovani in camiciotto precedevano e seguivano ridendo e celiando. Tratto tratto sostavano per attendere lo sciame femminile o affrettavano il passo per poi lasciarsi ancora sorpassare. Qualche coppia d'innamorati proseguiva con volontaria lentezza, parlando sommessamente nel dolce tramonto.
Quasi tutti si voltavano a guardare Innocenza che, arrivata da poco, non era conosciuta. Le ragazze bisbigliavano:
— Chi è?