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forte e ricurvo, ed aveva intorno al collo il largo nastro azzurro delle madri cristiane. Anche di lei le suore non avevano che da lodarsi: silenziosa, devota, premurosa, esatta.
Ella non viveva che per aspettar l'ora della ricreazione in cui sua figlia veniva a trovarla. Per quell'ora si sarebbe fatta tagliare a pezzi, scorticar viva brano a brano.
Di rado Innocenza se ne dimenticava, ma, quando questo avveniva, la disperazione di Nanna era tacita e profonda: un annientamento di tutto il suo essere. Improvvisamente, pareva divenire ebete e sorda: non udiva più il campanello d'avviso, oppure apriva senza spiar dalla grata, trascinava la gamba storpia con una lassitudine che la sua infermità ne appariva d'un tratto quadruplicata.
E in quei momenti avveniva che il passato le ritornasse fulmineamente dinanzi.... La campagna immobile nelle arsure d'agosto, il ciglio polveroso d'una strada, l'odore d'un'acqua stagnante, il latrato di un cane, la sua capanna bassa e nera in riva al fiume.... Ah! fuggire laggiù, ancora, libera, sola, nei campi deserti, sdraiarsi all'ombra d'un albero e ascoltare le rane, trascinarsi di cascina in cascina, senz'altra legge che il sole che si leva e che si corica, mangiare nella scodella del cane, libera, libera!...
La voce d'Innocenza squillava nel cortile. Uno scalpiccìo cadenzato di piedi, due battute di mano. Le piccole educande intonavano il coro.
....In questo santo asilo Posa serena il piè!