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Nennè aveva risalito le scale battendo i denti di paura e di vergogna. O Italia! Italia!... Ancora venti marchi....
L'ultima settimana fu affannosa, tragica. Nennè non dormiva quasi più durante la notte, ma quando riusciva ad assopirsi sognava continuamente il viso e il riso del poderoso uomo che gli aveva sghignazzato in faccia:
— «Est-ce qu'il avait la barbe très longue? Ah ah!...»
Febbricitante, sconvolto, sfinito, roso dalla fretta e dall'inquietudine, Nennè raddoppiò di audacia come l'equilibrista che, prossimo a cadere affranto dalla corda tesa sul precipizio, corre per arrivare. Ormai le vendite si succedevano alle vendite, senza più prudenza, senza scelta d'individui e di nazionalità. L'ultimo giorno egli vendette sei scatoline, compì i sessanta marchi.
Gli parve di esser liberato da un incubo: uscito illeso per un prodigio da un pericolo immane: libero, salvo.
Aveva seppellito trenta marchi nel cortiletto, li disseppellì, li raccolse nel nodo del fazzoletto, si cacciò a letto, tentò di ordinare i suoi pensieri, si disse: — Finalmente! — e volle aggiungere: — Ora sono felice! — Ma tosto si accorse che tutta la sua febbre era caduta.
....Nonna, nonna! povera nonna buona, sola, vecchia e malata in una vecchia casa di morti!...
E nondimeno bisognava partire, lasciarla, fuggire.... con rimorso, piangendo.... ma tornare